Quanto potrebbe essere problematico proclamare delle pandemie virali basandosi sui dei test PCR, fatto che che ha avuto un ruolo cruciale nel diffondere il panico del Covid-19 all’inizio del 2020, l’ha spiegato ad esempio la giornalista scientifica Gina Kolata in un articolo del New York Times del 2007. Il titolo dell’articolo: “La credenza in un test diagnostico rapido porta a un’epidemia che non è mai esistita“. Quintessenza del contributo: epidemiologi e specialisti in malattie infettive avevano scatenato, con la loro estrema fiducia nei metodi diagnostici biologici-molecolari come il test PCR, un’epidemia.
Gli avvertimenti e lo scetticismo sono stati completamente ignorati nel caso del Coronavirus (SARS CoV 2). E così, il virologo Hendrik Streeck, ha affermarmato con tutta serietà in un’intervista con il Faz: “Quasi tutti gli infetti che abbiamo analizzato, un buon terzo, hanno affermato di avere avuto una perdita di olfatto e di gusto per diversi giorni. Questa menomazione sensoriale è un nuovo sintomo. Ma anche nei migliori dei casi non si può paragonare due terzi di un gruppo di pazienti con quasi tutti, anche se questa formulazione si adatta meglio alle cose. E soprattutto, la perdita provvisoria dell’olfatto e del gusto, non è un nuovo sintomo.
Nonostante ciò il FAZ ha fatto la seguente affermazione nel titolo: “Abbiamo scoperto nuovi sintomi”. Chiaramente si tratta di Fake-News che si basano sulle affermazioni di un virologo che sono state ridimensionate o/e a cui mancavano le conoscenze base della medicina.
La motivazione era ovvia: volevano diffondere a tutti i costi e per primi la notizia che il Covid-19 sia una nuova malattia. Ma queste affermazioni sono scientificamente insostenibili e lo conferma anche Thomas Löscher, medico specializzato nella diagnosi e nel trattamento delle malattie infettive, richiesto come consulente durante la “crisi del Coronavirus” da parte di Focus.de. Perché, “per la maggior parte delle malattie respiratorie non ci sono sintomi specifici e distinti” e “pertanto c’è distinzione tra i diversi agenti patogeni SARS-COV 2”.
Fokus ha affermato anche che il SARS-CoV 2 sia un virus completamente nuovo. A riguardo c’è da dire che, anche presumendo che il SARS-CoV 2 sia un virus che provoca le malattie, delle solide indagini effettuate dal 2005 al 2013 in Scozia, dimostrano che anche con una leggera influenza esiste il rischio (dal 7 al 15%) che dei coronavirus vengano rilevati.
Quindi, afferma il medico Wolfang Wodarg, il Coronavirus (SARS-CoV 2) è un “test PCR Virus”. Le notizie terrificanti provenienti da Wuhan erano proprio quello che i virologi di tutto il mondo aspettavano. In questo modo si sarebbero poi solo concentrati sui risultati dei test diagnostici e non più sui reperti clinici. “E”, dice Wodarg, “più test venivano immessi sul mercato e più casi venivano rilevati”.
E i test diagnostici iniziavano a venire prodotti in massa. Il virologo tedesco Christian Drosten ha annunciato al mondo lo sviluppato del primo test PCR che ha presentato il 13 gennaio del 2020, e il 23 gennaio in Germania, il suo team ha annunciato al Deutschlandfunk: “È ora di fare ciò che sappiamo fare molto bene: sviluppare metodi di test diagnostici in un tempo molto breve per poi renderli disponibili in tutto il mondo.”
E, riporta il Deutschlandfunk, “c’è stato un grande interesse nelle nazioni del sud-est asiatico per il test PCR di Christian Drosten. Inoltre, anche dall’Europa ci sono state moltissime richieste – e il tutto viene finanziato dell’UE. Qualsiasi viaggiatore proveniente da Wuhan con difficoltà respiratorie e febbre alta, può venire testato con il nuovo test PCR.”
Più o meno due mesi più tardi, la multinazionale farmaceutica svizzera Roche, ottiene un permesso di emergenza per la produzione di un test automatizzato per rilevare il SARS-CoV-2. E così vengono testati fino a 4000 campioni nel giro di 24 ore.
E come la rivista Multipolar riporta in un articolo del 28 marzo 2020, Coronavirus: confermata frode nei conteggi e i dati ufficiali lo confermano, hanno effettuato sempliecemente più test mentre la percentuale degli infetti – o, per meglio dire, di quelli risultati positivi al test – non è aumentata in modo esponenziale. Per capirlo bisogna chiarire il numero di persone testate positive (che vengono ufficialmente chiamate “infette”). Durante la seconda settimana di marzo il Robert Koch Institut segnala 7’582 infetti e nella seconda settimana 23’820. Ciò potrebbe dare un’impressione molto raccapricciante al lettere, e cioè, come se ci fosse stato un amento di infetti del “300%” in Germania nel giro di una settimana. Ma non è affatto così!
Eccone un esempio: lo sviluppo riguardo al numero degli infetti può essere esaminato correttamente solo se si è a conoscenza del numero di test eseguiti. Per esempio, se sono stati effettuati 10’000 test in una settimana con 1’000 risultati “positivi” e la settimana seguente vengono effettuati 20’000 test con 2’000 risultati “positivi”, in entrambe le settimane si ha avuto un rapporto di 10 a 1. Quindi, vuol dire semplicemente che sono stati effettuati più test ma la percentuale di persone che risultano positive è rimasta la stessa. E questo è esattamente il caso, anche se si osservano i dati della seconda e terza settimana di marzo del 2020, perché il numero di test è stato quasi triplicato, da 127’000 a poco meno di 350’000. E ora basta confrontare il rapporto della seconda settimana di marzo (I27’OOO a 7582) con il rapporto della terza settimana (350’000 a 24’000) che risulta in una quota di “testati positivi” del 5.9% e del 6.8%. L’aumento effettivo è stato di un insignificante 0.9%.
“Quindi”, afferma Wolfgang Wodarg, “se non avessero iniziato a testare a Wuhan ma a Pechino, avrebbero provocato lì il corrispondente numero di casi di Corona”. In questo contesto, si dovrebbe semplicemente chiarire che le persone nel regno del mezzo hanno stili di vita relativamente omogenei. Perché pertanto dovrebbe esserci un nuovo virus a Wuhan? “E quale coincidenza”, dice Wodarg, “che la ‘peste’ è appena iniziata a Wuhan – una metropoli con un milione di abitanti che rappresenta una specie di centro della virologia in Cina. A Wuhan c’è il più grande laboratorio del paese per la ricerca degli agenti patogeni con il più alto livello di sicurezza, ed è proprio il luogo in cui le persone lavorano di più con i virus”.
Il virologo Georg Bornkamm concorda con Wodarg, come si può leggere nel Süddeutsche Zeitung: “I coronavirus sono sempre esistiti ed è risaputo che causano infezioni respiratorie fino anche alla polmonite durante le stagioni influenzali. Fino a questo punto è corretto nelle sue affermazioni ma poi afferma che il nuovo coronavirus non è affatto simile ai virus precedenti e che anche se tutti i coronavirus appartengono a un’unica famiglia di virus, secondo l’ex professore dell’Helmholtz Center di Monaco di Baviera, potrebbero differire tra loro come uno squalo da uno spinarello che sono entrambi pesci. Secondo Bornkamm, il nuovo SARS-CoV 2 è geneticamente solo un lontano parente degli altri coronavirus, quindi non può essere confuso con gli altri coronavirus durante i test. “La tesi che la pandemia esista solo perché si stanno facendo dei test non è assolutamente sostenibile”, afferma Born.
Ma la sua conclusione è scientificamente senza sostanza. Poiché il SARS-CoV 2 può essere confuso molto bene con altri virus quando si effettuano i test. Nelle avvertenze di un test PCR della CD Creative Diagnostics, c’è scritto che il test non reagisce solo se rileva il “SARS-Cov 2” ma anche se rileva altri virus e batteri.
E i virologi possono ora speculare in lungo e in largo con le loro metafore, se certi coronavirus sono pericolosi come “squali” o innocui come “spinarelli” – anche questo non cambia il fatto che, come anche scritto nell’articolo del SZ, “nessuno è attualmente in grado di sapere quanto è pericoloso il SARS-COV 2“. O, citando lo stesso Bornkamm: “Il [SARS CoV 2] virus probabilmente non è così pericoloso come si pensa”. E il 19 marzo (in anticipo online) sulla rivista International Journal of Antimicrobial Agents in uno studio intitolato “SARS-CoV 2: Paura versus dati”. Risultato: Il SARS-CoV 2 differisce per quanto riguarda la sua pericolosità dagli altri coronavirus.
Ciò significa che:
- per la malattia COVID-19 non esistono sintomi specifici
- una distinzione tra i diversi agenti patogeni non è clinicamente possibile
- nessuno può provare che il SARS-CoV 2 sia particolarmente pericoloso
- fattori “non microbici” come per esempio l’inquinamento industriale non sono stati presi in considerazione come causa dei problemi respiratori, delle polmoniti e quindi del COVID-19
A conoscenza di questi fatti è impossibile trarre la conclusione che il virus SARS-CoV 2 possa essere la sola causa dei sintomi che affliggono i pazienti che sono stati etichettati come pazienti COVID-19.
Inoltre, c’è un problema molto fondamentale nell’argomentazione dei cacciatori dei virus: non solo il secondo postulato di Koch e la virologia, anche uno tra i principali ricercatori come Luc Montagner, afferma che una purificazione completa è un prerequisito indispensabile per dimostrare che un virus esiste. E gli autori di due documenti pertinenti (Zhu et al., Wan Boom Park et al.), menzionati in relazione al rilevamento del SARS-COV 2, hanno ammesso su richiesta che le immagini microscopiche mostrate nel loro lavoro, non sono virus “purificati” (purified).
Di conseguenza non si può concludere che le sequenze genetiche RNA che vengono usate per creare il test PCR, che sono “campioni di tessuto” in detti studi, appartengano a un virus molto specifico – in questo caso SARS-CoV 2. Soprattutto anche perché ci sono diverse immagini fatte con il microscopio elettronico stampate negli studi pertinenti che dovrebbero rappresentare il SARS COV-2 e si può constatare che variano estremamente di grandezza. In uno di questi documenti la larghezza varia dai 60 nm ai 140 nm. Un virus che ha una tale variazione di dimensione non può esistere!
Questo vale anche per il test PCR diagnostico del virologo tedesco Christian Drosten citato precedentemente. Tra l’altro, tutta una serie di domande sorge su questo test come ad esempio: i ricercatori che lo hanno creato, per dimostrare che il loro metodo funziona, hanno esitato a manipolare i risalutati in loro favore? Come si svolgerebbe la validazione del test se invece venissero svolti molteplici esperimenti di replica in differenti laboratori? L’RNA è cambiato a causa dello stoccaggio (dal congelamento o essiccazione)?
Inoltre, nelle culture in vitro dei virus da cui viene estratto l’RNA per calibrare i test PCR, vengono aggiunte sostanze come gli antibiotici che possono creare un fattore di stress. Questo può quindi formare nuove sequenze geniche che erano precedentemente non rilevabili – e che non sono virali. Il vincitore del premio Nobel Barbara McClintock ha parlato di “Shocks”. Di conseguenza, può darsi che l’RNA che viene usato per impostare i valori del test PCR, siano in verità le nuove sequenze genetiche non virali create. Nel suddetto test PCR della società Creative Diagnostics si può leggere nelle avvertenze: “Da usare solo per scopi di ricerca e non come metodo diagnostico”.
In questo contesto bisogna anche tenere conto che alcune persone testate con il cosiddetto test HIV anticorpi e risultate negative sono risultate positive usando il test PCR. In effetti, il test PCR non è sufficiente per diagnosticare un infezione da HIV. Pure i produttori come Roche avvertono: “La specificità del test non è nota, non da usare per scopi diagnostici.” E viene anche confermato dai ricercatori della Scuola di Medicina del Massachusetts, che affermano che “un test PCR per diagnosticare un infezione da HIV non è mai stato né sviluppato né valutato”, che il motivo per cui i test PCR non hanno reagito con pazienti che risultavano positivi con il test anticorpi, gli è sconosciuto e che il loro uso porta a una falsa diagnosi di infezione da HIV.
A conoscenza di questi fatti, come si potrebbe pensare che il test PCR sia adatto per rilevare un infezione da SARS-CoV-2?
In questo contesto, non ci può sorprendere affatto che l’uso massiccio dei test PCR per rilevare il SARS Cov 2 ha causato una confusione totale nei risultati.
Persino Wang Chen, presidente dell’Accademia cinese delle scienze mediche, ha dichiarato in un’intervista televisiva nel febbraio 2020, che i test PCR sono accurati solo per il “30-50%” dei casi. E infatti è successo, per esempio, che alcune persone che sono state etichettate come infette da Covid-19 si sono completamente recuperate e poi hanno effettuato il test PCR nuovamente. Risultato: in primo luogo sono stati testati “negativi” e poi sono risultati di nuovo “positivi”.
Un altro esempio del totale caos scatenato dai test: secondo un notiziario i pazienti in Cina vengono considerati guariti solo se non si possono osservare sintomi, hanno i polmoni non ostruiti e vengono testati due volte “negativi”. E così è successo che le autorità sanitarie nella provincia più grande (113 milioni) della Cina, Guangdong, hanno riportato un 14% di pazienti pienamente recuperati che poi sono stati testati nuovamente positivi. Di tali esempi ce ne sono molti altri da enumerare. A conoscenza di questi fatti non è difficile capire che l’RNA che viene rilevato dal test PCR, non sia di origine virale.