Quella che segue è una citazione di un articolo del virologo tedesco Christian Drosten e del suo gruppo di ricerca, che sono stati i primi ad usare le sequenze primarie iniziali da utilizzare per il test RT-PCR da COVID-19, metodo che è divenuto lo standard per i test PCR (reazione a catena della polimerasi) in tutto il mondo:
“Obiettivo: abbiamo mirato a sviluppare e implementare una solida metodologia diagnostica da utilizzare in ambienti di laboratorio e di salute pubblica senza la messa a disposizione di materiale virale.”
Con queste affermazioni, Drosten e il suo gruppo hanno stabilito lo standard globale per i test SARS-CoV-2 e allo stesso tempo ammesso di non essere mai stati in possesso del virus.
Per quanto incredibile possa sembrare questa ammissione, questa è una pratica standard nella virologia moderna. Ecco come funziona. Il processo PCR è la tecnologia vincitrice del Premio Nobel sviluppata da Kary Mullis, PhD, negli anni ’80. Come ha ripetutamente affermato il dottor Mullis (morto nell’agosto 2019), il PCR non è mai stato concepito come test diagnostico ma piuttosto come uno strumento di produzione utilizzato per creare un numero infinito di copie di un segmento di DNA (acido desossiribonucleico).
In sostanza, un breve segmento di DNA, chiamato “primer” (un primer è una breve sequenza di acidi nucleici, utilizzata per dare inizio alla replicazione del DNA), viene inserito nel processo PCR. Il processo copia o “amplifica” il segmento, facendo due copie del segmento da una copia, quattro da due, otto da quattro e così via. Ogni ciclo di copiatura (amplificazione) viene chiamato “ciclo”. Se si inizia con due copie del segmento in questione, dopo 10 cicli si avranno 3’072 copie. Se si inizia con 10 copie, dopo 10 cicli, si avranno 10’240 copie. Chiaramente, il numero di copie con cui si inizia e il numero di cicli che vengono eseguiti, ne determineranno il risultato.
In una variante del processo chiamato RT-PCR, il segmento in questione è una sequenza di RNA (acido ribonucleico) piuttosto che di DNA. Questa sequenza di RNA viene convertita dall’enzima trascrittasi inversa (RT) in DNA in modo che possa essere sottoposta ai cicli di amplificazione.
Per utilizzare il processo PCR come test diagnostico (contro le specifiche del Dr. Mullis), devono accadere una serie di cose. In primo luogo e ovviamente, se l’obiettivo del test è dimostrare che un particolare virus sia presente in un dato campione, è necessario prima aver dimostrato che la sequenza di primer utilizzata provenga effettivamente dal virus in questione. Ciò significa che il virus deve venire prima isolato, purificato e il suo intero genoma sequenziato. Solo allora sarebbe possibile dimostrare che la sequenza di primer utilizzata nel test provenga direttamente da quel genoma virale. Inoltre, per affermare che la sequenza del test PCR è specifica per un determinato virus, si deve essere in grado di dimostrare che nessun’altro organismo (ad esempio microbico) contenga la stessa sequenza nel campione da testare. Se uno qualsiasi di questi criteri non viene soddisfatto, il test PCR non può essere utilizzato in ambito clinico per rilevare la presenza di un virus.
Nel caso del SARS-CoV-2, nessuno di questi criteri è mai stato soddisfatto, a cominciare dalla mancata isolazione del virus. Senza un virus adeguatamente isolato, non si può conoscere il genoma del virus. Se non si conosce il genoma, la sequenza di copie di basi (o lettere) che costituiscono il materiale genetico del virus, è impossibile sapere se una particolare sequenza di primer provenga solo da quel virus. Poiché il gruppo di Drosten ha ammesso che sta lavorando solo usando modelli “in silico” (teorici) del virus e del suo genoma, non ci può essere alcuna prova che alcuna delle loro sequenze di primer provenisse effettivamente dal SARS-CoV-2. Questa ammissione invalida l’intero test.
Il giornalista Off-Guardian Iain Davis ha indagato sull’incapacità del gruppo Drosten di dimostrare che la loro sequenza di primer fosse unica per il SARS-CoV-2.
Per fare tale affermazione Drosten avrebbe dovuto stabilire che nessun’altra sostanza eccetto che il SARS-CoV-2 nei campioni clinici dei ricercatori conteneva una copia della sequenza di primer nel proprio genoma. Utilizzando un procedimento chiamato ricerca BLAST, che usa un algoritmo e un programma per confrontare le informazioni sulla sequenza biologica primaria di tutti gli organismi conosciuti sulla terra, Davis ha dimostrato il contrario. Facendo una “ricerca BLAST” per le sequenze di primer di Drosten, Davis ha trovato più di 90 sequenze corrispondenti nel genoma umano e più di 90 sequenze corrispondenti nel mondo microbico. Questa scoperta significa che le sequenze di primer utilizzate nei test RT-PCR per identificare “SARS-CoV-2“, potrebbero essere di origine umana o microbica (batterica, fungina, ecc.). Qualsiasi affermazione sul fatto che queste sequenze di primer per PCR siano uniche per il SARS-CoV-2, è falsa.
Se si vuole usare il processo PCR come test diagnostico, si deve anche conoscere la frequenza di falsi positivi e falsi negativi. Ad esempio, se si vuole convalidare (valutare la precisione di) un test di gravidanza del sangue, si potrebbe trovare 100 donne che si è sicuri che siano incinte (ad esempio, donne che hanno ricevuto un ultrasuono con un bambino visibile all’interno dell’utero) per poi procedere con il test del sangue. Se 99 delle 100 donne mostrano un risultato positivo, si sa che il tasso di falsi negativi è del 1%. Successivamente, si effettuerebbero gli stessi test su 100 donne con la menopausa, in altre parole, su donne che sicuramente non sono incinta. Se 2 test su 100 producono un risultato di test positivo, si sa che il tasso di falsi positivi è del 2%. Questi sono i preliminari che consentono ai medici di utilizzare i test in modo affidabile ed efficace.
Visto che nessun test “Gold Standard” è stato effettuato per determinare la percentuale di falsi-positivi o falsi-negativi per il test PCR SARS-Cov-2, è impossibile determinarne il tasso. I produttori aggirano questo confrontando i loro risultati con altri “test” PCR usando un bizzarro tipo di logica circolare. Ma senza conoscere il tasso di falsi positivi e negativi, il processo non è un test, è una procedura inutile che non fornisce informazioni utili sulla presenza di un virus o di una qualsiasi malattia.
Alcune delle confusioni che circondano il significato dei test PCR riguardano il cugino della PCR, il “carico virale”, il quale in medicina misura la quantità di un virus in un volume standard di sangue. Questa idea deriva dal fatto che qualsiasi persona malata sperimenterà una certa ripartizione dei propri tessuti a causa della malattia. Questa rottura crea materiale genetico, che, quando amplificato nel processo PCR, molto probabilmente provocherà un risultato “positivo”. Più una persona è malata e meno saranno i cicli che il PCR richiederà per mostrare un risultato positivo.
Si può concludere provvisoriamente che le persone con un “carico virale” più alto tenderanno ad essere malati, mentre le persone con carichi virali più bassi e test di PCR negativi, tenderanno ad avere meno rotture e detriti cellulari ed essere meno malati. Ma la cosa più importante da capire è che tutto ciò non ha nulla a che fare con i virus. Inoltre, le persone che si ammalano in modo simile perché esposti a simili condizioni (ad esempio avvelenamento da radiazione o avvelenamento da cianuro), tendono a creare simili detriti cellulari con conseguente produzione di sequenze genetiche simili. Quando queste sequenze sono poi amplificate, gli scienziati rivendicano che le persone sono affette da una “infezione virale”, ma ancora una volta, nessun virus è coinvolto. È semplicemente che tutta le malattie creano detriti genetici e malattie simili causano modelli simili di rotture genetiche. Quando questi schemi vengono raccolti dal processo PCR e erroneamente usati come test diagnostico corriamo seri pericoli.
Il più grande pericolo nel utilizzare il processo PCR come test diagnostico è che il numero di cicli determinerà la percentuale di positivi e negativi. Qualsiasi “test” PCR fatto con 25 o meno cicli è probabile che sia negativo in quasi tutti i casi. Con quella quantità di amplificazione, raramente si è in grado di raccogliere la sequenza di primer in questione. D’altra parte, se i cicli di amplificazione sono superiori a 40, quasi tutti i test risulteranno positivi perché quelle sequenze sono presenti in ogni essere umano e ogni essere umano ha una certa quantità di rottura dei tessuti che accade tutto il tempo.
Le implicazioni di questa funzione del processo PCR sono chiare. Se un tiranno volesse dimostrare che c’è una “pandemia virale” tutto ciò che dovrebbe fare è aumentare i numeri dei cicli a più di 40. Se volessero quindi dimostrare che le misure usate per combattere questa “pandemia” funzionino, potrebbe semplicemente abbassare i cicli a meno di 25. All’improvviso tutti quei casi “positivi” diventerebbero “negativi” semplicemente perché la sensibilità del test è stata modificata.
L’unico modo per combattere questa frode è eliminare l’uso di qualsiasi processo PCR da usare come test diagnostico.